Di recente, sempre più spesso è necessario apprendere dai media, dalla comunicazione personale, dalla corrispondenza su Internet sui casi di violenza domestica.
Una persona tradizionalmente considerata il capofamiglia - marito, padre - espone i suoi familiari a pressioni fisiche, psichiche, economiche volte a intimidirli, a controllarli completamente, trasformandoli in "fischietti" sui quali può vendicarsi dei propri fallimenti nell'adattamento sociale. Le vittime di un aggressore domestico diventano sempre più deboli (fisicamente o psicologicamente) di lui, membri della famiglia: coniuge, figli, genitori anziani, parenti disabili affidati alle cure familiari.
Nasce così una distribuzione dei ruoli: “stupratore - vittima (vittime)”. Lo stupratore in queste relazioni è caratterizzato da: un nascosto complesso di inferiorità; fiducia nel loro diritto di usare la violenza contro quelle domestiche; scarso apprezzamento o completa disattenzione per la propria vita mentale; l'incapacità di controllarsi, la necessità di superare la frustrazione che sorge per qualsiasi motivo il prima possibile. Con la totale non resistenza dei familiari alle sue azioni, la violenza da parte sua aumenta: si commette sempre più spesso e assume forme sempre più crudeli.
Coloro che interpretano il ruolo di vittima tendono a mostrare una bassa autostima; giustificare le azioni dell'aggressore; dimostrare fiducia nella normalità della violenza domestica e la convinzione di non avere un posto dove aspettare aiuto. Spesso, anche dopo essere stati picchiati, non vanno alle forze dell'ordine, avendo idee sbagliate sui rapporti familiari. In tali condizioni, la violenza domestica può continuare per anni, rimanendo nascosta agli altri.